Buongiorno lettori! Oggi cambiamo un po’ rotta e parliamo di un testo che è quasi un documentario. Questo libro, Interviste del Secolo Breve, raccoglie gli incontri fatti dal reporter italiano Marco Lupis tra il 1993 e il 2006 per famose testate giornalistiche italiane. Ho deciso di deviare dalle strade che siamo soliti percorrere insieme, per dare uno sguardo oltre la cortina di ciò che conosciamo. Per ampliare gli orizzonti e guardare all’Oriente, ma sotto un punto di vista diverso da quello della letteratura. Una decisione vincente? Sarete voi a dirmelo 🙂

E’ un lungo viaggio quello che ci fa fare Lupis. Non sono solo tanti i chilometri che ci fa attraversare per tutto il mondo, ma anche lo spessore delle esperienze che ci fa vivere, la grandezza e tragicità degli eventi storici a cui sentiamo di partecipare un po’ di più leggendo le sue interviste. E’ un itinerario che si fa camminando al suo fianco, con il libro tra le mani e bisogna essere pronti a tutto, anche ad arrabbiarsi (emozione che di solito i libri tendono a non trasmetterci). Dovete mettere in conto che farete la conoscenza di personaggi che scoprirete di amare, e di altri che odierete con forza. Vi verrà da ribattere alle loro risposte, quasi che il passato e il presente non esistessero più, scomparsi in un luogo altro che è la lettura. Questo forse è uno dei più grandi pregi di questo libro d’interviste: riesce a coinvolgere nel profondo. Siete pronti per un’esperienza così particolare? Allora, libro in spalla.. e venite con me.

Con l'Esercito USA
Fotografia scattata da Teru Kuwayama, fotografo di LIFE, mentre lui e Lupis si trovano a bordo di un aereo americano. Destinazione la portaerei Roosevelt, durante la guerra nell’Ex Jugoslavia.

Siamo abituati al coinvolgimento dei romanzi, che ci appassionano, ci trasformano, ci stupiscono e rattristano. Qui è un’altra storia. Io ho avuto spesso la sensazione, leggendo queste interviste, di esser seduta di fianco a Marco mentre poneva le domande. Una sensazione bella, appagante. A volte anche dura, perché viene d’istinto di chiedere ancora, di interrompere, di scuotere la testa o abbracciare chi si trova dall’altra parte del microfono. Mi ha fatto conoscere un Oriente diverso, ma che sono riuscita a sentire lo stesso familiare e vicino.

Il giornalista ci fa attraversare la Storia con la esse maiuscola, ci propone scorci inusuali su grandi eventi storici e ogni intervista può essere una partenza per scoprire qualcosa che prima non conoscevamo, per imparare fatti nuovi, per comprendere meglio accadimenti che abbiamo sempre vissuto da lontano. Lui ci aiuta ad accostarci a paesi, situazioni e persone. Ci accorgiamo che tutto è più vicino di quanto immaginavamo.

Le personalità da lui incontrate sono davvero moltissime, l’indice del libro mi ha lasciato senza fiato la prima volta che gli ho dato un’occhiata. Politici, rivoluzionari, letterati, persone comuni, modelle, attrici, musicisti, imprenditori, militari, religiosi e non solo. Gli incontri di Lupis attraversano davvero il Secolo Breve e ci rimandano indietro una visione piena di sfaccettature, di dettagli, di volti. Troverete persone  provenienti da ogni parte del mondo, che hanno vissuto situazioni al di là dell’immaginazione o che sono stati artefici di grandi destini. Vi farò un elenco simbolico di quelli le cui parole mi sono rimaste maggiormente impresse, ma ce ne sono a decine.

Kenzaburo Oe (scrittore e premio Nobel giapponese nel 1994), Ingrid Betancourt (Presidente della Colombia nel 2002), Roh Moo-hyun (Presidente della Corea del Sud nel 2003), Monsignor do Nascimento (vescovo a Timor Est durante la repressione indonesiana), Lee Kuan Yew (Presidente di Singapore nel 1999), Wang Dan (oppositore al regime di Pechino), Zang Liang (nome in codice di un funzionario cinese che ha svelato i documenti secretati sui tragici episodi di Piazza Tienanmen), Volkogonov (Generale russo che per primo ha visionato i documenti segreti su Lenin), Palden Gyasto (monaco tibetano, rimasto prigioniero per trentatré anni nelle prigioni cinesi), Sergio Corsini (Ammiraglio italiano fatto prigioniero dai giapponesi a Singapore durante la Seconda guerra mondiale), Monsignor Gassis (vescovo sudanese esiliato dal regime di Karthoum), Gao Xingjian (scrittore, reduce della Rivoluzione culturale e Nobel nel 2000. Ne ho parlato qui) e Men Songzhen (fotografa cinese che ritoccava i ritratti ufficiali di Mao Zedong). Questi sono stati i personaggi che più mi hanno colpito e affascinato. Insieme a loro Marco mi ha raccontato storie di enorme ingiustizia, di elevazione, di contraddizioni, di sorprese, di sofferenze inimmaginabili, di pensieri universali. Questo è stato il mio viaggio personale, il vostro come sarà?

Interviste del Secolo Breve è in fase di traduzione in sette lingue (portoghese, cinese, inglese, russo, francese, spagnolo e tedesco), saranno disponibili in autunno.

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Marco Lupis a Timor Est.

Per arricchire questa recensione e comprendere al meglio il libro ho contattato e intervistato l’autore. Lo ringrazio di cuore per la disponibilità e la gentilezza che mi ha dimostrato, ho avuto l’onore di raffrontarmi con una persona di grande professionalità, garbata e interessante. Seguitemi, ve lo presento!

 

Ciao Marco, qualche domanda su Interviste del Secolo Breve. Insieme alle personalità che incontriamo nel libro, anche tu sei stato protagonista dei grandi eventi che ci racconti attraverso le tue interviste. Cosa ha significato per te quella vita da giornalista?

Ho sempre pensato che l’aspetto più meraviglioso del mestiere di giornalista, almeno per me, sia quello che ogni giorno, ogni volta che inizi un nuovo articolo, una nuova inchiesta, devi occuparti di qualcosa di completamente nuovo e completamente diverso dall’articolo, dall’inchiesta precedente. Il giorno prima avevo finito di occuparmi della crisi economica in Argentina e il giorno seguente facevo le valigie per Los Angeles per intervistare un regista ad Hollywood. Per me, che sono uno dai grandi entusiasmi che si butta a capofitto nelle cose – e che alla stessa velocità se ne stufa – anche per questo motivo è stato l’unico mestiere possibile.
Per me il giornalismo è stata una passione divorante, totalizzante, fin dall’adolescenza. In seconda media ero il direttore del giornalino scolastico dell’Istituto Virgilio in Piazza Ascoli a Milano, che si chiamava “XXI Secolo”; non avrei potuto fare una scelta differente nella vita, ne sono convinto.
Mi è sempre piaciuto pensare che la mia scelta fosse stata dettata, almeno in parte, da una sorta di predisposizione ereditaria. Un mio bisnonno paterno, Orazio Cipriani, nel 1914 fondò e diresse il primo quotidiano calabrese, Il Corriere di Calabria e fu corrispondente del quotidiano romano La Tribuna e del Corriere della Sera. A causa della sua “vivacità” giornalistica si batté varie volte in duello e in un caso rimase seriamente ferito. Suo figlio, fratello di mia nonna, Franco Cipriani, fu corrispondente di guerra nei Balcani.

 

So che una delle interviste di cui vai più orgoglioso è quella al Subcomandante Marcos. Invece ti chiedo qual è quella che ti ha colpito maggiormente a livello emotivo, e perché?

L’incontro con Marcos mi ha reso non soltanto professionalmente orgoglioso, ma mi ha anche colpito moltissimo a livello emotivo. Ho sentito una grande empatia nei suoi confronti; tracce, e molto più che tracce, di un destino comune, per certi versi, dal punto di vista della formazione culturale e famigliare e per la capacità di accendersi per un ideale, o per meglio dire per un “progetto”, e perseguirlo ostinatamente. Un professore universitario con una famiglia e una vita agiata che, per le scelte e le opportunità del destino, si ritrova a nascondersi nella giungla più impenetrabile del Mondo, a farsi intervistare in una capanna, a raccontarmi che con i suoi compagni per sopravvivere deve mangiare a volte anche i topi e bere la propria orina. E’ la dimostrazione della teoria delle “sliding doors” (ricordi il bel film di Peter Howitt con Gwyneth Paltrow?). Ognuno di noi nella vita attraversa tante “porte scorrevoli”: scegliere di attraversarne una o l’altra o semplicemente di girare a destra o a sinistra dopo averla attraversata, innesca una serie di azioni-reazioni che fanno sì che la nostra vita prenda una direzione piuttosto che un’altra, spesso totalmente diversa.
Un altro incontro che mi ha davvero molto colpito emotivamente è stato quello con Mireya Garcia, una madre coraggiosa che cercava dignitosamente, ma caparbiamente, di conoscere la verità sulla fine orribile dei suoi figli, desaparecidi nel Cile di Pinochet. Mi sono talmente emozionato nell’incontrarla che avrei voluto abbracciarla, anzi, essere abbracciato da lei.

 

Com’è cambiato il giornalismo da quando ne eri protagonista, negli ultimi dieci anni? Leggendo il tuo libro ho avuto come l’impressione che non esistano quasi più reporter a tutto tondo, come sei stato tu, presenti nelle zone di guerra, a fianco di personaggi che veicolavano la storia in tutto e per tutto, in ogni angolo del mondo. Esiste ancora questa figura di giornalista?

Personalmente ho una visione piuttosto apocalittica del futuro del questo mestiere. Secondo me è stata la tecnologia a renderlo obsoleto, forse del tutto inutile, come è accaduto per tante altre professioni.
La diffusione planetaria di internet, la comunicazione istantanea di qualsiasi avvenimento in qualsiasi parte del mondo in tempo reale, ha reso non più necessaria, e forse persino un po’ patetica, la figura del giornalista che andava sul posto, spesso affrontando lunghi, faticosi e difficili spostamenti, con l’intento di raccontare attraverso i suoi occhi quel che succedeva dall’altra parte della Terra. Con quel solo e unico fine che ogni giornalista ha sempre avuto: “dare la notizia”.
A togliergli il lavoro ci hanno pensato i vari You Tube, Facebook, Instagram e i milioni, per non dire miliardi, di “giornalisti virtuali”, che con uno smartphone registrano un video mentre le cose accadono, e pochi istanti dopo lo mettono in rete. Il risultato è che oggi conosciamo tutto ciò che accade, dappertutto e soprattutto immediatamente. Quasi sempre però senza nessuna elaborazione critica, nessuna mediazione culturale e, quel che è veramente grave, senza nessuna possibilità di verifica.
Come ho scritto nella prefazione di uno dei miei due libri dedicati interamente all’Oriente, “I Cannibali di Mao”, che uscirà in autunno, se oggi qualcuno dei miei tre figli accenna all’idea di intraprendere il mio stesso mestiere, mi viene spontaneo sconsigliarglielo. Spiegandogli pazientemente che io sono la persona meno indicata a dargli un consiglio del genere. E che è come se, mentre guidano un’auto a idrogeno, chiedessero al papà maniscalco se vale la pena di imparare a ferrare i cavalli!
Il panorama contenutistico, etico e morale del giornalismo oggi, specialmente in Italia, lo trovo sinceramente desolante, sia per i contenuti – ormai i giornali copiano da internet, mentre come minimo dovrebbe essere il contrario – sia come ho detto per l’ormai altissimo tasso di “prostituzione politica” dei membri della mia “corporazione”, e soprattutto, ahimè, di molti direttori…
Per questo adesso scrivo libri.
Anche se qualche giovane collega valoroso, che continua a lavorare nel modo che conosco io, esiste. Una che mi ha molto colpito è una giovane free-lance, Francesca Borri, che è stata molte volte in Siria e ha raccontato quella tragedia con una vividezza, con una empatia e con una qualità giornalistica nei suoi pezzi e nei suoi libri, che mi ha entusiasmato. Ci ho visto la stessa passione divorante.

 

Una delle interviste che mi hanno colpito maggiormente è stata quella all’Ammiraglio Corsini, rinchiuso in un campo di prigionia giapponese a Singapore durante la Seconda guerra mondiale. Ho scritto un romanzo incentrato proprio sui crimini di guerra nipponici, ma in Manciuria e per questo mi ha molto colpito la sua testimonianza. Ho letto che hai svolto diverse ricerche sull’argomento. Quali sono le tue impressioni su questa faccenda ancora così poco conosciuta?

Mi sono occupato molto del tema – ancora oggi poco conosciuto come giustamente ricordi tu – fin da quando, in Occidente, davvero si ignorava quasi completamente di quali orribili atrocità si sono resi responsabili i soldati dell’esercito del “Tenno” nell’ultima guerra Mondiale. Ho l’orgoglio di essere stato il primo, o uno dei primi, a far conoscere ai lettori italiani il dramma delle Comfort Woman, le “donne di conforto”, costrette a fare le prostitute per i soldati giapponesi al fronte, la vera tragedia della costruzione della “ferrovia maledetta” (quella romanzata nel film “Il ponte sul fiume Kway”) tra Birmania e Tailandia e appunto il capitolo più orribile, gli esperimenti su cavie umane che i giapponesi condussero, nemmeno troppo segretamente, in Cina e particolarmente in Manciuria, nella famigerata “Unità 731”.
A questo argomento ho dedicato molto spazio – un intero capitolo intitolato “Spettri dal passato” – nel mio prossimo libro, “Il Male inutile: guerre e massacri dimenticati” che uscirà in primavera per Rubbettino.

 

Ho letto che ad oggi vorresti intervistare l’uomo più potente del mondo, come l’hai definito, Vladimir Putin. E se io ti chiedessi invece di intervistare una donna, quale sarebbe?

Non so quale grande donna vorrei intervistare oggi. Sicuramente so quale grande donna avrei voluto intervistare e purtroppo non l’ho fatto: Madre Teresa.

 

Ultima domanda. Quali sono i tuoi prossimi progetti letterari?

Sono diversi. In primavera, marzo-aprile, uscirà appunto per Rubbettino il mio libro dedicato alle corrispondenze di guerra, crisi politiche, guerre civili e attentati che ho testimoniato sul campo nel corso della mia carriera: “Il Male Inutile: guerre e massacri dimenticati”. Dalla tragedia di Timor Est agli scontri sanguinosi tra Cristiani e Islamici nell’arcipelago delle Molucche; dall’insorgenza degli zapatisti di Marcos nel Chiapas alla guerra nell’ex Jugoslavia e nel Kosovo, dalla Colombia delle Farc alla strage di Bali. Quei massacri, quegli orrori, quelle emergenze umanitarie che sono soltanto “dietro l’angolo della Storia” ma che – “distratti” da nuovi orrori, da nuove emergenze – abbiamo presto dimenticato.
In autunno poi dovrebbero uscire i due libri dedicati alla mia esperienza di corrispondente per lunghi anni in Asia, che formano le due “puntate” di una ideale antologia che si chiama “Oriente Estremo”: “I Cannibali di Mao”, interamente dedicato alla Cina e “Cristo si è fermato a Shingo” che invece racconta di quell’ “Altro Oriente”, dal Giappone alle Filippine, dal Borneo all’Antartide.
E poi sto lavorando a due nuovi progetti: un romanzo “basato su fatti realmente accaduti”, come si usa dire, che racconta una storia legata a una orribile strage avvenuta in Messico alla fine degli Anni Novanta e i cui responsabili a tutt’oggi restano in larga parte impuniti e una serie di “gialli” ambientati ad Hong Kong.
Insomma, non mi piace “stare fermo”….

 

 

Lettori, spero di cuore che questo articolo vi sia piaciuto e vi abbia coinvolti. Un caloroso saluto e buona domenica!

In Antartide
Marco Lupis in Antartide

 

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Autore: Marco Lupis (Classe 1960, Roma)

Titolo: Interviste del Secolo Breve

Anno: 2017

Casa editrice: Edizioni del Drago

N. Pagine: 333